Colin Beavan e famiglia: come vivere senza sprechi (L'Unione Sarda, 12 dicembre 2010)

impatto zero unione sarda 12 dicembre 2010 L'esperienza dell'ingegnere americano raccontata in un libro e in un video documentario. Colin Beavan e famiglia: come vivere senza sprechi. A tu per tu con l'autore di “Un anno a impatto zero”. «La cosa più difficile? Rinunciare alla lavatrice»
È possibile vivere a New York consumando il minimo indispensabile? Una famiglia ha provato a farlo e in un anno ha evitato di usare 2190 bicchieri di plastica, 2184 pannolini usa e getta, 1248 contenitori per cibi usa e getta, 572 sacchetti di plastica. Colin Beavan, laureato in Ingegneria elettronica all'Università di Liverpool, vive a New York con la moglie, la figlia e il cane. Scriveva libri di criminologia e di storia, ma un giorno, impressionato dalla quantità di rifiuti prodotti nella sua casa, ha pensato di limitare i consumi e di ridurre la produzione di rifiuti. L'esperienza - descritta nel best seller Un anno a impatto zero (Cairo Editore) - recentemente ha originato un interessante video documentario.
Mister Beavan, come è iniziato tutto questo?
«Nel 2006 avevamo la guerra in Iraq e le notizie dello sciglimento delle calotte polari. Uno scenario terribilmente deprimente. Da una parte stavamo combattendo una guerra per il petrolio e per il nostro stile di vita. Dall'altro stavamo fondendo il pianeta come risultato della combustione dei derivati del petrolio per il medesimo stile di vita. Nel mezzo avevamo lo stesso stile di vita, che non sembra rendere la gente felice. Gli americani sono stressati. Lavorano troppo: il 27% di noi soffre di ansia e depressione. Ecco, non mi sembra che per questo stile di vita si debba combattere una guerra e uccidere un pianeta. Allora, perché non cercare un modo di vivere più felice per la gente e per il pianeta? Questo è quello che volevo scoprire».
Il libro e il blog sottolineano l'importanza di scelte e sacrifici, ma parlano anche di felicità. Siete stati felici, durante l'esperienza?
«La nostra economia si basa sull'idea che più uno ha “roba”, più è felice. Così tutti lavoriamo molto per avere più cose e, specialmente negli Usa, dimentichiamo l'importanza delle relazioni sociali. Questo non ci rende felici. Durante l'esperienza “No Impact Man”, la mia famiglia e io abbiamo avuto modo di pensare alle nostre relazioni dato che non avevamo cose da consumare. A volte siamo usciti con i nostri amici invece che stare di fronte alla televisione. Questo è ciò che ha contribuito alla nostra felicità».
Qual è stata la sorpresa più grande durante l'anno “No Impact”?
«Molto di quel che abbiamo fatto per il pianeta si è rivelato buono anche per noi. Abbiamo mangiato cibo locale e siamo stati meglio. Abbiamo finito di spendere il nostro tempo come consumatori e abbiamo trovato tempo da dedicare a vicini di casa e amici. Ciò è vero anche per la cultura. Un'economia americana sostenibile, basata sulle energie rinnovabili, manterrebbe l'aria al riparo dai veleni che respiriamo e offrirebbe lavoro a molta gente. Quel che è buono per il pianeta è buono anche per le persone».
Cosa è stato più difficile?
«Rinunciare alla lavatrice».
E adesso cosa vi resta di questa esperienza? Cosa avete imparato e come vi state comportando?
«Fa una certa impressione mangiare cibo contenente veleni dal nome impronunciabile, così ora preferiamo cibo proveniente da fattorie locali di fiducia. Piuttosto che prendere un taxi per andare in palestra e poi correre stando nello stesso posto con il tapis roulant, preferisco fare dell'esercizio una parte della mia giornata, andando in bici o camminando. Il punto non è privare noi stessi di risorse. Il punto è fare in modo che le risorse che utilizziamo possano rendere felice la gente e che possano essere rinnovabili».
Cosa è la settimana “No Impact”?
«È un progetto dell'associazione che ho fondato dopo il mio anno senza impatto: “No Impact Project” - http://noimpactproject.org - è un'opportunità per la gente di scoprire che impatto può avere nelle loro vite il calo dei consumi».
Ci sono domande che nessuno vi ha posto ma avreste gradito ricevere?
«Nessuno mi ha chiesto nulla sullo scopo della vita. Mia figlia Isabella conosce la risposta. Se le chiedi “Perché siamo vivi?” lei risponde “Per ridere!”. E se le chiedi “Che responsabilità possiamo avere nelle nostre vite” lei ti dice “Per essere sicuri che possano ridere anche gli altri”. Per me tutto concerne la possibilità di ridere e scherzare e la capacità di apprezzarci reciprocamente. Non ci dobbiamo accontentare dei regali che l'universo ci ha fatto, ma dobbiamo aiutare l'universo a conferire quei doni anche agli altri».
ANDREA MAMELI

L'Unione Sarda, 12 dicembre 2010. Cultura.

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