Esplorando la fascia abitabile. Intervista a Giorgio Bianciardi, astrobiologo.

C'è un occhio che scruta ogni giorno la costellazione del Cigno in cerca di ombre: è il telescopio spaziale Kepler, lanciato dalla Nasa nel 2009.
Kepler identifica i pianeti con la tecnica del transito: osserva la luce proveniente da 150 mila stelle e si accorge immediatamente di qualsiasi calo di luminosità, la fatidica ombra che fa ipotizzare il passaggio di un pianeta. Nei primi due anni di attività Kepler ha scoperto oltre 1200 nuovi candidati pianeti, sui quali si attuano le necessarie verifiche, e così la tabella della Nasa dei pianeti confermati è in costante crescita.
C'è poi un club più esclusivo, cui appartengono pochi pianeti: è quello della cosiddetta Fascia Abitabile (o Fascia Goldilocks). Sono quelli situati a una distanza dalla loro stella adatta a garantire un intervallo di temperatura e altre condizioni ritenute compatibili con la presenza di vita.
Per cercare di capire meglio ho interpellato Giorgio Bianciardi, docente e Ricercatore all'Università di Siena (dove tiene, tra gli altri, un corso di Astrobiologia) nonché autore di ricerche scientifiche in questo stimolante settore e di interessanti articoli divulgativi sul tema.

Com'è stata determinata la fascia abitabile?
«Classicamente la fascia abitabile è calcolata pensando all’esistenza di un pianeta di taglia terrestre intorno alla sua stella, pianeta che è in grado di ospitare acqua liquida.
Questo perché vogliamo pensare a una vita basata sul carbonio e l’acqua è il mezzo disperdente per eccellenza per le macromolecole basate su questo elemento. Quindi consideriamo essenzialmente il flusso di energia che proviene dalla stella e la distanza che il pianeta ha rispetto a questa. Per una stella del tipo Sole, la Terra, a 150 milioni di chilometri, è centrata praticamente in modo perfetto. E possiamo pensare ancora possibile l’esistenza di acqua liquida per distanze che vanno tra quella di Venere e quella di Marte, arrivando anche fino all’inizio della fascia degli asteroidi. Diciamo tra i 100 e i 200 o anche i 450 milioni di km dal Sole. In effetti se Marte avesse avuto la stessa massa della Terra o poco più grande avrebbe potuto mantenere l’acqua liquida che lo caratterizzava sin dall’inizio senza difficoltà, invece di perderla in gran parte come ha fatto. Se Venere avesse avuto meno effetto serra, un’atmosfera più rarefatta, avrebbe potuto sviluppare una biosfera come il nostro pianeta. Ovvero, la massa del pianeta, la composizione e densità dell’atmosfera, il suo albedo, cioè la capacità del pianeta di riflettere la luce che proviene dal suo sole, ad esempio, condizionano molto questo traguardo: la presenza di acqua liquida sul pianeta».

La Fascia potrà essere modificata per adattarsi a nuove scoperte?
«Certamente. Se, ad esempio, nei supposti oceani sotterranei di Europa, il satellite di Giove, o i laghi di idrocarburi di Titano, il satellite di Saturno, si trovassero presenza di forme di vita aliena, allora si dovrà forzatamente estendere la fascia di abitabilità fino a distanze 2 o tre volte più grandi di quelle sopra indicate».

Anche il sistema binario Kepler-47, formato da due pianeti che ruotano intorno a due stelle, recentemente scoperto, cade in zona abitabile? Che condizioni si vengono a creare avendo non uno ma due soli di riferimento?
«A 4900 anni luce dalla Terra nella Costellazione del Cigno è stato scoperto questo sistema planetario, che ci conferma che anche le stelle doppie possono ospitare pianeti.
La presenza di un doppio sole in genere porta sfiga al pianeta, costringendolo in orbite irregolari e caotiche, non adatte ad un pianeta che “voglia” ospitare forme di vita, ma quando, come in questo caso, le due stelle sono tra loro molto vicine (pochi milioni di chilometri separano queste due stelle), l’orbita può essere stabile. Quindi si creano condizioni non dissimili dalle nostre. La stella principale è quasi un gemello del Sole, solo un poco più piccolo, la seconda è una piccolissima nana rossa.
Uno dei due pianeti scoperti in questo sistema planetario cade effettivamente in pieno nella zona abitabile. E’, come tante volte, però, un pianeta di taglia nettuniana, poco più piccolo di Giove. Quindi un pianeta gassoso, che non ci sembra per niente l’ideale per far nascere e prosperare la vita. Però. Però il nostro Sistema Solare ci insegna che intorno ai pianeti giganti un gran numero di satelliti sono presenti, anche di taglia planetaria, vedi Titano, la luna di Saturno grande come Mercurio e in possesso di un’atmosfera più densa della nostra. E allora intorno a Kepler-47 c, questo il suo nome, non è improbabile la presenza di una luna di taglia sufficiente ad ospitare un’atmosfera e, magari, una idrosfera. Tutte le condizioni necessarie per permettere la presenza della vita».

Victoria Meadows, del Virtual Planetary Laboratory, insieme a ricercatori della Nasa, ha pubblicato uno studio sulla rivista "Astrobiology" nel quale si cerca di capire quali colori potrebbero avere eventuali piante extrasolari [a sinistra la copertina del mensile Scientific American (Aprile 2008) dedicata a questo studio]. Non è un tema estetico, ma è il modo per ipotizzare altre possibili risposte all'esigenza di energia delle forme viventi, come la fotosintesi sulla Terra. La domanda è: se si sfruttassero altre porzioni dello spettro elettromagnetico?
«Beh, se ci allontaniamo troppo dallo spettro del visibile andiamo poco lontano. Radiazione più energetica del blu-violetto rende instabile le biomolecole, radiazione meno energetica del rosso è insufficiente ad eccitare le stesse e una fotosintesi diventa inefficace. Dobbiamo restare nel campo del visibile. Qui allora potrebbero esserci delle sorprese. Sulla Terra il pigmento più diffuso è il verde, che dà origine alla fotosintesi clorofilliana delle piante ad alto fusto, ma in realtà nel nostro ecosistema altri pigmenti, come il rosso, vengono sfruttate ad esempio da alcune alghe.
D’altronde se una pianta volesse assorbire tutta l’energia che proviene dalla propria stella dovrebbe avere dei pigmenti neri.
Non escluderei che mamma selezione naturale in un pianeta che riceve poca energia dalla sua stella sviluppi delle aliene foglie nere».

Analogamente al discorso del colore delle piante ci si è interrogati su quali altri elementi della tavola periodica potrebbero aver costituito la base della vita, come il Carbonio sulla Terra?
«Sorry. Sono uno sciovinista del Carbonio. Solo questo atomo riesce a costruire macromolecole tridimensionali mobili e robuste. Solo questo elemento origina spontaneamente piccole molecole altamente reattive come l’ossido e il biossido di carbonio, indispensabili all’alba dell’origine della vita. Troppo superiore rispetto alle macromolecole poco mobili del Silicio (molto più grande il diametro atomico) e soprattutto in grado di originare allo stato semplice solo il biossido di silicio: sabbia. Cosa c’è più di inerte della sabbia? La Terra d’altronde è più ricca di silicio che di carbonio, “bada caso” la vita è nata proprio dal carbonio. Lo solfo dà origine a macromolecole ma solo lineari, il Boro fa delle belle macrostrutture ma è un elemento assai raro nel cosmo.
Dobbiamo tenerci il nostro amico carbonio».

Cosa ci aspettiamo dalle analisi che Curiosity sta compiendo su Marte riguardo alla presenza di forme di vita sul Pianeta Rosso? I Viking nel lontano 1976 trovarono o no forme di vita?
«Insieme a Gilbert Levin dell’Arizona State University, già responsabile di uno degli esperimenti Viking, e a Joseph Miller, neurobiologo dell’Università del Sud California, con il nostro Lavoro pubblicato nell'aprile di quest'anno (e in versione divulgativa nel numero di settembre di Coelum, rivista divulgativa di Astronomia in edicola) abbiamo voluto confermare che i Viking hanno veramente scoperto la vita su Marte. Detto questo, ora ci aspettiamo che Curiosity provi finalmente che su Marte esistono molecole organiche e non, come si è creduto sinora, che Marte non ospiti molecole organiche. Ora, molecole organiche non vuol dire necessariamente vita, ma sarebbe già un bel passo avanti per confermare quel che noi sosteniamo sulla vita presente sul Pianeta Rosso. Ma già in questi giorni (10 settembre), poi, Curiosity dovrebbe incominciare a fiutare l'aria di Marte. Dovrebbe trovare metano. Se risulterà particolarmente ricco dell'isotopo più leggero (carbonio a basso peso atomico) si potrà iniziare a brindare: batteri metanogeni su Marte».

Bianciardi, ultima domanda. Visto che l’asteroide 55418 porta il suo nome mi torna in mente una curiosità che mi porto dentro da bambino: nel momento in cui si troverà la conferma della vita oltre la Terra e si dovrà attribuirle un nome, chi deciderà questo nome e in base a quali criteri? Sarà l'Unione Astronomica Internazionale o altri organismi?
«Sarà compito dei biologi, come sempre. Le eventuali forme di vita (batteri?) che furono scoperti dai Viking hanno già avuto un nome: Gillevinia straata, è stato un neurobiologo argentino. Chissà, una volta che queste saranno confermate definitivamente (ma si sarà trattata di una sola forma di vita o, come è più probabile, di tante diverse forme di vita?), se manterrano questi nomi. Ma di sicuro si tratterà di fare nuove nomenclature, creare nuovi Regni della Vita.. Un bel compito!»

Ringrazio Giorgio Bianciardi per le sue risposte, con le quali ora per me è tutto molto più chiaro.

Ora, se provo a ripensare alla percezione della vita aliena che avevo io da bambino trovo enormi differenze. E queste differenze non le noto solo nel mio pensiero.

Se il 16 Novembre 1974, dal radiotelescopio di Arecibo, veniva trasmesso in direzione dell'ammasso globulare Ercole M13, distante 25 mila anni luce dalla Terra, un messaggio che conteneva una serie di immagini (a sinistra) rappresentative (secondo l'astrofisico Frank Drake che lo ideò, con l'aiuto dell'astronomo Carl Sagan) della nostra civiltà, e se nel 1975, quando avevo 10 anni, lo ricordo bene, si sperava (o sitemeva) di trovare alieni intelligenti e Scientific American ospitavaapprofondinenti di Carl Sagan e Frank Drake dedicati alla ricerca di civiltà ("molto più avanzate della nostra"), significa probabilmente che si pensava intensamente alla possibilità di incontrare altre intelligenze.

Oggi gli obiettivi dellaricerca sono cambiati e le tecnologie disponibili permettono di scandagliare piùa fondo porzioni di spazio sempre più ampie.

E se ieri si cercavano "i marziani", oggi si guarda con entusiasmo, aggiungerei giustamente, anche ai batteri.

Andrea Mameli, www.linguaggiomacchina.it 11 Settembre 2012


Con questo post il blog Linguaggio Macchina partecipa all'Edizione Unificata dei Carnevali scientifici di Chimica e di Fisica in occasione del 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo” (San Marino, 25-28 settembre 2012).

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