Fisica + arte = stupore e piacere

Che emozioni provoca una visita al Louvre, agli Uffizi, al Metropolitan di New York? Che reazioni suscita la scoperta di una legge fisica o la riuscita di un esperimento?
Non intendo una visita museale frettolosa e compusiva, ma una contemplazione lenta e di poche opere alla volta.
E non penso al monento in cui leggo o sento parlare vagamente di leggi fisiche, ma quell'istante, insimee intenso e profondo, in cui mi accorgo di aver colto un significato, di aver capito un concetto.
Ricordo bene le due situazioni, anzi tre. Il piacere e lo stupore di vedere (o di sentire) un'opera d'arte e non trovo molte differenze nel piacere e nello stupore di quel momento scintillante in cui ho capito un aspetto teorico oppure ho azzeccato un esperimento.

E questo piacere e questo stupore, sono moltiplicati per dieci o anche cento, nelle menti di chi crea arte o scienza. Un'eccitazione, a volte densa di soddisfazione, altre piena di meraviglia, che può comparire nella vita di una persona negli ultimi anni degli studi universitari, nel corso della preparazione della tesi di laurea e di dottorato o nell'attività di ricerca. Sono sensazioni vive, autentiche, difficili da raccontare per chi non le ha mai provate. In questo caso l'accostamento tra fisica e arte appare ricco e profondo.
Come appare ricco e profondo il confronto tra scienziati delle medesime discipline in occasione delle conferenze, specie nel caso in cui le presentazioni riguardino aspetti fortemente innovativi. E in tal caso alle emozioni vissute nel corso della ricerca si sovrappongono quelle legate alla trasmissione della scoperta alla comunità scientifica.

Altri accostamenti, a mio modo di vedere, appaiono invece meno fondati. Penso al quadro del 1912 di Giacomo Bella: Dinamismo di un cane al guinzaglio. Scrive in merito Meyer Shapiro (Tra Einstein e Picasso. Spazio-tempo, Cubismo e futurismo. Edizioni Christian Marinotti, Milano, 2003): «un cane in corsa con zampe moltiplicate e posizioni sovrapposte e posizioni sovrapposte del corpo, niente di tali immagini corrispondono allo spazio-tempo nel senso inteso da Minkowsky ed Einstein».
 
Lo stesso accostamento tra Einstein e Picasso appare più un frutto di ragionamenti a posteriori, o di speculazioni con scarse fondamenta. Non che i punti in comune ci fossero, ma forse non erano consapevoli. Lo sottolineavo nel mio post del 7 Febbraio 2011 Tra Einstein e Picasso: «Un travaso che ha in comune l'imbuto per il passaggio da un recipiente all'altro. L'imbuto della libertà individuale nel compiere l'osservazione del mondo circostante. Arte e scienza contemplano il medesimo mondo oggettivo, ebbe a scrivere Einstein nel 1921, e differiscono nella fase della ratifica: "Le accomuna l'amorevole devozione al superamento di ciò che è personale"

Ancora più esplicito Marco Fulvio Barozzi nel suo blog "Popinga. Scienza e letteratura: terribilis est locus iste" quando (nel suo post dell'11 Giugno 2012 intitolato "Einstein e Picasso con qualche dubbio") scrive: «Innanzitutto non mi convince l’accostamento, indubbiamente accattivante, tra i due grandi personaggi, che, alla fine dei conti, sono stati scelti perché il loro nome è evocativo, ma che ebbero in comune solamente il fatto di vivere in anni di grande fermento culturale e di grandi innovazioni».

Eppure il fascino per questi presunti avvicinamenti non cessa di catturare l'immaginazione.
Forse aveva ragione Pietro Greco quando scriveva su Jcom nel giugno 2004 ("Einstein, Picasso e i pellegrinaggi delle idee" - Pdf) che la ricostruzione di questi itinerari, veri o presunti, non è (sempre) alla nostra portata: «E, allora, viene da chiedersi chi e attraverso quali pellegrinaggi culturali, più o meno oscuri, più o meno irrisolvibili, abbia contribuito di più a rimodellare la percezione dello spazio e l’acquisizione di una concezione, sia pure rudimentale, dell’universo relativistico di noi tutti, gente comune: Les Damoiselles d’Avignon o la Elektrodynamik bewegter Körper? Albert Einstein o Pablo Picasso? La scienza o l’arte? Il pellegrinaggio di metafore, immagini, idee, visoni del mondo che rimbalzano dall’arte alla scienza forma un ordito, appunto, irrisolvibile. Ma questo ordito irrisolvibile ci attraversa incessantemente, contribuendo a formare la nostra visione scientifica del mondo (e la nostra visione del mondo tout court). Certo, come rileva Montale, in maniera più oscura ma spesso in maniera ben più potente della comunicazione diretta ed esplicita della scienza.»

In qualche modo, in questo contesto, è come se regnasse una forma di indeterminazione: è come se più avviciniamo e più l'immagine appare sfuocata.

Andrea Mameli www.linguaggiomacchina.it 28 Febbraio 2013

Linguaggio Macchina con questo post partecipa al Carnevale della  fisica #40: Fisica e arte (a cura del blog Gruppo Locale).

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